DANIELE DIONISI

Nasco a Genzano il 21/10/1965.
Fin da bambino sono attratto dalle arti marziali. A quel tempo l’idolo di noi bambini era Bruce Lee.
Spinto da una improbabile emulazione, comincio a praticare il Karate, diventando una buona cintura nera.

L’interesse per l’Oriente mi porta ad aprire bene le orecchie quando sento parlare per la prima volta dello yoga. Avevo circa 17 anni, forse anche meno. Desideroso di mettere un po’ di ordine alle turbolenze dell’adolescenza comincio a praticare con Giampiero Valentini, un insegnante che oltre alla pratica degli asana insisteva molto su tutto l’aspetto filosofico ed esoterico. Da una attrazione durata alcuni anni passo ad un rifiuto per tutta quella teoria che mi creava più confusione di quanta ne avessi già di mio. Non ero semplicemente pronto! Già, proprio così. Ho avuto modo di scoprire che gli insegnamenti sono tanti e diversi, ognuno deve trovare il proprio, e lo stesso cambia con l’evolversi delle età della vita.

Intorno ai 18 anni incontro l’Okido yoga. L’origine più che indiana, è giapponese. Faccio questa pratica divertito e incuriosito dai tanti movimenti che si praticavano con l’aiuto di un compagno. Poi si giocava molto con il corpo. Una bella esperienza dentro la quale ebbi i miei primi rudimenti dello shatzu, una disciplina allora ancora poco conosciuta.

Nel frattempo parto per il servizio militare e durante l’ora di movimento mi propongo per fare una lezione di yoga. Potete immaginare un plotone di uomini legatissimi a cimentarsi nelle posizioni yoga?! Fu molto divertente e tutti mi chiedevano di ricevere un po’ di shatzu per rilassarsi ed addormentarsi meglio. Insomma …me la tiravo e alla fine della leva, gli amici più stretti mi regalarono una scultura raffigurante il Pensatore di Rodin. Ancora la conservo.

Seguirono anni molto confusi, la mia pratica era tanto discontinua, non trovavo una direzione. In quel periodo a Roma c’era una organizzazione molto affermata che organizzava corsi per diventare insegnante di yoga. Seguo per 2 anni l’E.F.O.A., ma sento che non è il mio posto.

Con la mia compagna di allora decidiamo di recarci in India, sono gli anni 1993-1994. Soggiorniamo a Mysore e per un periodo di 2 mesi spalmato in 2 anni, seguiamo la forma dello Ashtanga yoga del maestro Pathaby jois. Si faticava e si sudava tanto ed io ero dubbioso ma contento, soprattutto il secondo anno. Tornato in Italia continuo la pratica per un periodo con Lino Miele. Credo che Lino sia la persona che abbia contribuito più di tutti al diffondersi di questa pratica in Italia. Ad un certo punto i miei bisogni di ricerca mi portano altrove, ma serbo un bel ricordo di quel periodo.

Nel 1995 incontro la maestra Sandra Sabatini, allieva di Vanda Scaravelli. Trovo una forma di yoga che mi corrisponde. Con Sandra e con il gruppo formatosi facciamo un lungo percorso di circa 10 anni. Sono grato a Sandra, perché in lei ho sentito la mia prima vera insegnante. Sono grato al gruppo di persone che ha condiviso con me questo viaggio, perché insieme abbiamo riso, pianto e giocato con passione.

In natura c’è la nascita, l’evoluzione e il dissolvimento. Anche questa bella esperienza volge al fine e mi porta ad incontrare la maestra Chandra Cuffaro. Conosco Chandra dal 1998, ma divento suo allievo con assiduità a partire dal 2006, anno in cui Chandra organizza un viaggio in India, portandoci a Chennai nella scuola del suo Maestro Desikachar. In questo viaggio resto folgorato dalla personalità di Chandra e tornato in Italia decido di seguire i suoi insegnamenti. Con Chandra mi diplomo come insegnante di yoga. Ho trovato in questa persona una competenza straordinaria ed un grosso sostegno umano. Nei tanti anni mi sono recato da Chandra piuttosto acciaccato, non tanto nel corpo quanto dell’anima. Ho sempre trovato uno sguardo amorevole pronto ad incoraggiarmi e guidarmi con rispetto e  gentilezza. Sono felice di poter esprimere gratitudine e affetto alla mia insegnante. Con Chandra ho compreso che lo yoga ha tante porte. Quella del benessere fisico è una. Poi ce ne sono altre come la cura, la ricerca e lo sviluppo della nostra anima, emanazione di una forza più grande.

Le diverse esperienze fatte e che continuo a fare hanno chiaramente contribuito a rendere sempre diverso il mio modo di proporre lo yoga. I miei allievi scherzosamente mi dicono di avere praticato yoga in tanti modi diversi come se, pur rimanendo con lo stesso insegnante, ne avessero cambiati tanti. Questo è il mio stile, mi piace rimanere con la mente e con il cuore aperto e fare spazio a tutto quanto può aiutare la mia crescita e quella delle persone a me vicine.

Daniele Dionisi Yoga del Centro Ariccia
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Daniele Dionisi Yoga del Centro Ariccia
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LA PRATICA

Lo YOGA è oggi una pratica molto diffusa che sta incontrando una crescente popolarità. L’O.N.U. il 21 giugno 2015 ha istituito la prima giornata mondiale dello yoga. Anche le forme di yoga proposte sono tante ed in costante aumento.

Consapevole di ciò, proverò a descriverti che tipo di insegnamento puoi trovare venendo nel mio spazio. Non riuscirò ad essere esaustivo ma farò del mio meglio.

Lo yoga è legato a linguaggi e tradizioni spesso molto diversi tra loro. Con il tempo e l’esperienza ognuno può trovare il percorso che sente più vicino al proprio bisogno. Pur all’interno di inevitabili modifiche e interpretazioni personali che ogni insegnante aggiunge alla propria esperienza, lo yoga da me seguito affonda le radici nella tradizione del maestro indiano Krisnamacharya, morto nel 1989. I principi di questo sistema li ho appresi con la maestra Chandra Cuffaro che ha potuto essere a contatto con Krisnamacharya prima, e con suo figlio Desikachar successivamente.

Lo yoga sviluppato in questo contesto, si rivolge all’uomo che sta nel mondo. Ci sono responsabilità a cui nessuno può sottrarsi: lavorare, sostenere una famiglia, crescere figli, pagare le bollette, etc.. Per assolvere ai tanti doveri della vita, abbiamo bisogno di stare in salute e di costruire una stabilità mentale necessaria a fronteggiare la complessità del nostro vivere. Per favorire questo processo, nella pratica vengono inseriti e sviluppati principi molto importanti.

Circoscrivendo il campo al lavoro sul corpo, nell’esecuzione degli asana, o posture, si da grande enfasi all’osservazione, all’adattabilità ed alla progressione. Anche all’interno di una pratica di gruppo si fanno degli adattamenti ai movimenti per permettere ad ognuno di sperimentare: agio, benessere e pace mentale. Ci muoviamo nel rispetto del corpo, della sua morfologia e della storia personale. Tutte le articolazioni vengono progressivamente ammorbidite e nutrite, la spina dorsale piacevolmente distesa e allungata in ogni direzione dello spazio. Attraverso il contatto con la terra e la forza di gravità i nostri piedi diventano radici stabili e forti, come quelle di un albero. Con questo sguardo rivolto alla terra, possiamo allungarci verso lo spazio ed il cielo. La spina dorsale attraverso le due estremità, bassa e alta, è essa stessa simbolo di questa tensione. La terra, come rappresentante della materia, ed il cielo, come anelito a qualcosa di più elevato. Per la nostra stabilità mentale è necessaria una integrazione tra le due parti. Come insegna Jodorowsky: spiritualizzare la materia e materializzare lo spirito. Questo meraviglioso viaggio è reso possibile grazie all’uso consapevole del respiro. Il respiro ci connette da una parte con il nostro centro fisico, situato poco sotto l’ombelico, riattivando il quale possiamo sperimentare leggerezza, fluidità e forza nel corpo. Dall’altra ci aiuta a risvegliare la parte più profonda che abita nel cuore di tutti gli uomini. Gli indiani lo chiamano Atman, o anima. Ognuno può trovare il nome che meglio rappresenta questa essenza spirituale. In questo processo, la meditazione è considerata parte integrante del lavoro che si fa tra respiro e movimento. Ciò non esclude momenti di meditazione più mirata e più statica dove, oltre al respiro, l’oggetto di attenzione possono diventare parti del corpo o elementi della natura come il sole.

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